HAI DOLORE ALL’INGUINE, AL GLUTEO O ALLA COSCIA FINO AL GINOCCHIO? HAI UN REFERTO CHE PARLA DI ARTROSI?
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FACCIAMO CHIAREZZA: DEFINIZIONI, SEGNI, SINTOMI E DIFFICOLTA’
L’osteoartrosi, nota comunemente come artrosi, è definita classicamente come una condizione clinica degenerativa della cartilagine articolare, correlata all’invecchiamento. E’ una patologia molto diffusa nella popolazione e può colpire sostanzialmente tutte le articolazioni del nostro corpo.
Per interpretare correttamente questa definizione, però, sono necessarie due precisazioni:
– per “invecchiamento”, in biologia, s’intende il progressivo cambiamento di struttura e funzione dei tessuti associato all’avanzare dell’età, non all’età avanzata (ad es. da 30 a 35 anni assistiamo a tali cambiamenti, ma non possiamo parlare certo di età avanzata);
– con il termine “condizione clinica” si fa riferimento al fatto che, non è sufficiente un esame strumentale (ad es. radiografia, risonanza magnetica, tomografia computerizzata, etc.) per parlare di artrosi, è necessario che siano presenti dei sintomi, tra i quali i più comuni sono dolore e rigidità.
Da alcuni studi emerge come l’anca sia una tra le articolazioni più colpite dall’artrosi, assieme a ginocchio, colonna vertebrale e mano. Inoltre, le femmine sono più colpite dalla coxartrosi (altro termine utilizzato per indicare l’artrosi dell’anca) rispetto ai maschi; si parla di un 14% rispetto ad un 8%.
I sintomi dell’artrosi d’anca (artrosi dell’articolazione coxo-femorale o femoro-acetabolare) sono:
- dolore “meccanico”, che si esacerba con il carico e regredisce con il riposo;
- alcuni movimenti possono essere particolarmente ridotti o dolenti (ad es. la flessione dell’anca, specie se associata ad una rotazione);
- rigidità, anche associata a dolore, al risveglio e, in generale, dopo un periodo prolungato di inattività (solitamente tale rigidità regredisce nel giro di al massimo 30-60 minuti, con il movimento);
- dolore notturno, che è presente però solo nelle fasi più avanzate;
- infine, un segno tipico, facilmente percepibile anche dal Paziente stesso (che quindi può essere riportato tra i sintomi), è il crepitio articolare, che consiste in un rumore come di “una grattugia” proveniente dall’articolazione coxo-femorale (è importante però sottolineare come molti “rumori” articolari siano assolutamente benigni e presenti anche nelle persone sane).
Ma quando parliamo di “dolore all’anca”, dove viene percepito questo sintomo?
Il dolore associato ad artrosi d’anca viene solitamente percepito alla radice della coscia, all’inguine, al gluteo ed i sintomi possono essere riferiti fino all’area del ginocchio (vedi figura 1).
E’ intuitivo comprendere come la perdita di mobilità (rigidità) ed il dolore riducano la funzionalità di quest’importante articolazione.
Il Paziente che soffre di coxartrosi, in base al grado di questa:
- avrà difficoltà nel mettersi i calzini o le scarpe;
- proverà dolore nello stare in piedi a lungo;
- correre o camminare saranno attività dolorose;
- nelle fasi più avanzate, comparirà una zoppia associata a dolore nel “mettere il peso” sull’arto malato (potrebbe essere in questi casi necessario un bastone).
La diagnostica per immagini (radiografia, risonanza magnetica o tomografia computerizzata) ha un ruolo importante in questa patologia. In una prima fase è possibile ritrovare: segni di sofferenza dell’osso sub-condrale (ad es. edema della spongiosa, segno che sembra essere associato a maggior dolore), versamento articolare (che testimonia l’infiammazione in atto), iper-produzione di osso (in risposta alla perdita di omeostasi articolare) con perdita della sfericità della testa del femore. In una seconda fase è possibile ritrovare: geodi (o cisti ossee di Egger), osteofiti (“becchi ossei”), riduzione e deterioramento dello strato cartilagineo e perdita dei normali rapporti articolari (evoluzione dei ritrovati della prima fase).
Talvolta, paradossalmente, fasi molto avanzate d’artrosi sono caratterizzate da minor dolore, specie nel caso in cui siano presenti molti osteofiti. Questi infatti sono semplicemente la risposta di protezione dell’osso al carico alterato. Certo, in questi casi, al diminuire del dolore aumenta la rigidità e la conseguente difficoltà nel compiere determinati movimenti.
E’ necessario comunque sottolineare come un certo grado di artrosi sia del tutto fisiologico, fa parte del normale invecchiamento delle articolazioni.
Inoltre, solo poco più del 20% di coloro che presentano segni radiologici (visibili all’RX) di artrosi hanno dolore e, viceversa, solo poco più del 15% di coloro che hanno dolore d’anca hanno segni radiologici di malattia. Solo con un grado di degenerazione molto importante (livello 4 di Kellgren and Lawrence, scala che va da 0 a 4) il grado di tale degenerazione è correlato al dolore.
La risonanza magnetica è più sensibile della radiografia nell’individuare alterazioni strutturali nei Pazienti con dolore.
Dati questi limiti, è chiaro come la diagnostica per immagini non sia sufficiente per far diagnosi di artrosi.
Ci sono delle caratteristiche cliniche che devono essere rilevate durante una valutazione muscolo-scheletrica: età maggiore di 50 anni, dolore alla palpazione del legamento inguinale, rigidità (riduzione dell’arco di movimento) specie nelle rotazioni ed in flessione, presenza di scrosci articolari.
Nel caso in cui gran parte di queste caratteristiche sia presente, per confermare il sospetto, il clinico ci consiglierà di sottoporci ad una radiografia o ad una risonanza magnetica.
E’ necessario precisare che nel caso in cui gli indici infiammatori siano alterati sarà necessario fare diagnosi differenziale con una patologia reumatica.
Altri disturbi che possono essere confusi con l’artrosi coxo-femorale sono: altre patologie muscolo-scheletriche a carico dell’anca o della coscia, la lombo-sciatalgia/cruralgia, la sindrome femoro-rotulea od un altro disturbo doloroso di ginocchio o, più raramente, patologie non muscolo-scheletriche.
Per quanto riguarda la fisiopatologia (l’alterazione delle funzioni cellulari, tessutali ed organiche), in un’articolazione artrosica viene meno l’equilibrio simbiotico tra complesso cartilagine-osso-sinovia e movimento. Un movimento alterato può determinare effetti anomali su osso, cartilagine e membrane sinoviali e, viceversa, tessuti alterati possono determinare un quadro patologico che compromette il movimento.
Sebbene i meccanismi attraverso i quali tale equilibrio viene meno non siano ancora del tutto chiari, i fattori di rischio per lo sviluppo di artrosi d’anca sono:
- sesso femminile ed età avanzata;
- predisposizione genetica;
- lassità legamentosa od altre alterazioni anatomo-fisiologiche dell’articolazione coxo-femorale o dell’intero arto inferiore, congenite od acquisite (ad es. displasia d’anca congenita, dismetria degli arti inferiori, fratture di bacino o della testa del femore, etc.) *.
- svolgere alcuni sport ad alti livelli (ad es. hockey, rugby, danza etc.) o lavori pesanti*;
- sovrappeso / obesità*.
* Nel caso in cui questi fattori di rischio siano preponderanti rispetto agli altri, si parla di artrosi secondaria ad uno di questi elementi (ad es. artrosi secondaria a frattura).
RACCOMANDAZIONI: TERAPIE E COMPORTAMENTI
Ad oggi, in generale, possiamo dire che non esistono terapie capaci di far regredire la degenerazione a livello articolare, quindi non è possibile ottenere un miglioramento del quadro radiologico.
Sicuramente, cercare di ridurre i fattori di rischio modificabili è utile per rallentare la progressione della malattia e mantenere più a lungo i benefici ottenuti con il trattamento conservativo – fisioterapico.
In quest’ottica si raccomanda: un calo di peso, un programma di attività fisica, la rimodulazione dell’attività sportiva / lavorativa e, nel caso siano indicati, interventi atti a modificare i fattori di rischio anatomo-fisiologici (ad es. utilizzo di un plantare per ridurre una dismetria degli arti inferiori, in altre parole, un rialzo per compensare una differenza di lunghezza degli arti inferiori).
Da quanto descritto nei paragrafi precedenti, però, risulta chiaro come i due obiettivi principali da perseguire, in caso di artrosi d’anca, siano la riduzione del dolore e della disabilità associata (la difficoltà nello svolgere le attività della vita quotidiana).
E’ noto, e forse scontato, che la disabilità sia correlata all’intensità del dolore percepito.
Diversi studi in letteratura, però, dimostrano una relazione meno scontata: la disabilità è correlata al deficit di forza (ad es. di abduttori e quadricipite); un programma di esercizio terapeutico è quindi indicato, tanto più che ci sono prove di efficacia di questo trattamento anche in termini di riduzione del dolore a breve termine.
Per quanto riguarda i sintomi, una terapia che è stato dimostrato essere efficace a breve termine, anche sul dolore oltre che sulla mobilità e la funzione, è la terapia manuale ed in particolare la trazione ad alto grado di forza.
Da un punto di vista farmacologico, spesso si prescrivono principi attivi come il paracetamolo o i Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei (FANS) per controllare il dolore nei momenti di acuzie. In alternativa, nelle fasi di maggior irritabilità, alcuni clinici preferiscono ricorrere ad infiltrazioni a base di acido ialuronico/corticosteroidi (iniezioni di acido ialuronico e/o “cortisone” direttamente all’interno dell’articolazione – spesso per l’anca si utilizzano metodiche eco-guidate) od a terapie fisiche strumentali.
Ci sono infine Pazienti, con dolore severo e rispondenti a determinate caratteristiche cliniche e radiologiche, che beneficiano molto dell’impianto di una protesi articolare d’anca (intervento chirurgico mirato alla sostituzione dei capi articolari lesi con dei capi articolari sintetici).
Per la buona riuscita dell’intervento è necessario che: ci siano le indicazioni, l’anestesia e la chirurgia siano ben eseguite, ed il programma riabilitativo post-chirurgico sia iniziato precocemente e correttamente portato avanti.
Contenuti a cura della dott.ssa Anna Sofia Fabrizi;
revisione testi a cura del dott. Mario De Marco;
grafica e immagini a cura di Emanuele Santi.