COSA S’INTENDE PER TERAPIE FISICHE – O STRUMENTALI?
Quando si parla di “terapie fisiche” o, nel linguaggio gergale, di “cure fisiche”, si fa riferimento ad una classe di interventi terapeutici utilizzati in medicina, e più in particolare in fisioterapia, che si basano sulla somministrazione di energia – termica, meccanica, elettromagnetica e luminosa – allo scopo di ottenere uno specifico effetto biologico con un fine terapeutico.
Tali effetti possono essere, ad esempio:
- la riduzione del dolore,
- la riduzione dell’edema (“gonfiore”) intra od extra articolare,
- la promozione della guarigione dei tessuti lesi,
- l’incremento dell’attivazione muscolare,
- etc.
Le terapie fisiche, anche denominate “terapie strumentali” per via del fatto che spesso sono necessarie strumentazioni per la somministrazione, più comunemente utilizzate nella prevenzione, cura o riabilitazione dei disturbi neuro-muscolo-scheletrici sono:
- l’elettrostimolazione od elettroterapia,
- le onde d’urto (focali o radiali),
- la PWST (Pulsed Short Wave Therapy) – anche conosciuta come diatermia o con il nome commerciale di tecar-terapia,
- la termoterapia,
- la crioterapia,
- l’ultrasuono-terapia,
- la laser-terapia (CO2 o Yag),
- la magnetoterapia.
QUANDO POSSONO ESSERE UTILI E COME FUNZIONANO LE TERAPIE FISICHE?
Chiaramente, non esiste una regola generale riguardo l’indicazione o meno della terapia fisica, piuttosto è necessario che un clinico di fiducia analizzi la nostra condizione e ci consigli o meno l’applicazione di un tipo specifico di terapia fisica, in base alle prove d’efficacia, alle nostre esigenze, alla sua valutazione del caso specifico ed al contesto assistenziale (ad es. alcune terapie potrebbero essere svantaggiose, da un punto di vista costo / beneficio, per una persona che lavora in banca, ma non per un’atleta professionista).
La mancanza di indicazioni “assolute” si riconduce anche al fatto che in generale, salvo alcune eccezioni, le terapie fisiche non costituiscono il “core” di un intervento di prevenzione, cura o riabilitazione, ma possono essere piuttosto utilizzate come coadiuvanti nel caso di interventi quali: esercizio terapeutico, terapia farmacologica, terapia manuale, riabilitazione post chirurgica o post traumatica, fisioterapia in ambito sportivo, gestione del dolore, etc.
Cerchiamo ora di capire assieme il razionale che sta alla base delle diverse forme di energia utilizzate come terapie…
Elettroterapia – energia elettrica
Con elettroterapia si intende l’utilizzo di una corrente elettrica allo scopo di generare un flusso di particelle cariche da un’area ad un’altra, causando così una depolarizzazione del tessuto muscolare o del tessuto nervoso.
L’elettrostimolazione può essere utilizzata a scopo antalgico (per controllare il dolore) attraverso, sopratutto, la stimolazione nervosa elettrica transcutanea (TENS) e le correnti interferenziali (IFC). I meccanismi coinvolti in questo tipo di terapie sono:
– l’attivazione delle fibre nervose A-beta, di largo calibro, che modula le afferenze nocicettive (“la trasmissione degli stimoli dolosi dalla periferia al sistema nervoso centrale”) – si parla di meccanismo del “gate control”;
– la stimolazione diretta delle fibre nervose A-delta e C, che causa il rilascio di oppioidi endogeni (endorfine ed encefaline), risultando in un’attivazione prolungata delle vie discendenti analgesiche – si parla di attivazione del “sistema diffuso di controllo sul dolore”.
L’elettrostimolazione può però essere anche utilizzata con il fine di ottenere un’attivazione muscolare. Tale attivazione è radicalmente diversa rispetto ad una contrazione volontaria. In fisiologia, infatti, il reclutamento delle unità motorie (un “gruppo” di fibre muscolari innervate dallo stesso moto-neurone) avviene dalla più piccola alla più grande – questo principio è noto come legge di Henneman. Se l’attivazione però è determinata mediante una corrente fornita dall’esterno, questo principio non è valido e le unità motorie vengono quindi reclutate con un ordine diverso.
Alcuni autori suggeriscono che questo tipo di contrazione, indotta dall’elettroterapia, sia complementare all’esercizio terapeutico. Da un punto di vista clinico (“sul Paziente”), vi è ormai accordo riguardo al fatto che in nessun caso l’elettrostimolazione possa essere sostituita alla contrazione volontaria – richiesta nel contesto di un esercizio. Alcuni studi, valutati però come di bassa qualità (quindi sui quali è bene non fare troppo affidamento), indicano come la stimolazione elettrica del muscolo possa essere coadiuvante all’esercizio nel migliorare alcuni parametri di funzionalità muscolare.
Calore – aumento o diminuzione di temperatura locale
La termoterapia e la crioterapia, quali che siano le modalità di applicazione, hanno il fine di modificare la temperatura tissutale a livello locale.
La termoterapia (“applicazione di calore”) comprende i bagni caldi, i bagni di paraffina, l’ipertermia e la fluidoterapia. Gli effetti primari fisiologici del calore sono:
la vasodilatazione e l’incremento del flusso sanguigno;
l’incremento del metabolismo;
il “rilassamento muscolare” – si pensa che il calore abbia un effetto inibente sul tono muscolare riducendo l’attività delle vie afferenti gamma.;
l’attenuazione del dolore – attraverso il meccanismo del gate control (spiegato in precedenza) e la riduzione dell’ischemia locale;
l’incremento dell’elasticità del tessuto connettivo;
la stimolazione della proliferazione dei fibroblasti e l’incremento dell’attività delle cellule infiammatorie.
La crioterapia (“applicazione di freddo”) include il massaggio con ghiaccio, l’applicazione di ghiaccio spray, i bagni freddi e le immersioni nel ghiaccio, l’utilizzo di apparecchi per crio-compressione (ad es. game ready). Gli effetti fisiologici dell’applicazione di freddo sono:
la vasocostrizione e la riduzione del flusso sanguigno (entro i primi 15 – 20 minuti dall’applicazione) – con effetto antiedemigeno (riduzione del “gonfiore”);
il rallentamento del metabolismo – con conseguente riduzione del rilascio di mediatori chimici dell’infiammazione e del consumo d’ossigeno, si riduce in questo modo anche l’ischemia locale;
la modulazione del dolore – attraverso il meccanismo del gate control (spiegato in precedenza) e, alcuni pensano, attraverso una riduzione della velocità di conduzione nervosa.
Diatermia – energia elettrica e calore
Anello di congiunzione tra termoterapia ed elettroterapia, la terapia ad onda corta pulsata (Pulsed Short Wave Theray – PSWT) è anche conosciuta come “diatermia” (Pulsed Short Wave Diathermy) o Pulsed Electro-Magnetic Energy (PEME).
Una delle tecnologie più utilizzate, in questo ambito, prende il nome di T.E.CA.R, che sta a significare Trasferimento Energetico Capacitivo Resistivo.
La terapia con PSWT si avvale di macchine che generano una corrente pulsata con frequenza intorno ai 27,12 MHz e che viene somministrata in due fasi, una fase “on” in cui la corrente raggiunge dei picchi di potenza (tipicamente intorno ai 150 – 200 Watt) ed una fase “off” di pausa, che è considerevolmente più lunga dell’altra. L’alternanza di “accensione e spegnimento” permette di mantenere una potenza media bassa, nonostante la presenza di picchi durante la fase di somministrazione, e di controllare quindi il riscaldamento dei tessuti.
Questo genere di terapie determinano effetti legati al campo elettrico ed effetti legati al campo magnetico. La pulsazione del campo magnetico agisce sulle membrane cellulari, dove l’applicazione di PSWT ha l’obiettivo di facilitare il trasporto di ioni dentro e fuori dalle cellule. L’esatto meccanismo attraverso cui questo è ottenuto non è stato completamente dimostrato, ma si pensa possa essere legato al trasporto diretto o all’attivazione di pompe sodio/potassio da parte dell’energia pulsata (Sanseverion et al. 1980). Una spiegazione alternativa prevede che l’energia venga assorbita nella membrana e, attraverso meccanismi di trasmissione di segnale, vengano stimolati effetti intracellulari (Luben e Cleary 1996).
Le prove scientifiche per quanto riguarda gli effetti del campo elettrico sono invece scarse.
Gli effetti clinici (“sul Paziente”) si sviluppano soprattutto nelle fasi di infiammazione e riparazione dei tessuti muscoloscheletrici.
Tra i più citati, possiamo menzionare questi:
l’incremento del numero di globuli bianchi e fibroblasti nell’area di lesione;
la stimolazione del riassorbimento dell’edema;
la conseguente riduzione dell’ematoma stesso;
la promozione della produzione del collagene;
la stimolazione dell’osteogenesi (“produzione di nuovo osso”).
Ultrasuoni – energia meccanica
L’ultrasuono-terapia si basa sull’utilizzo dell’energia sonora, ovvero delle onde di pressione create da una vibrazione meccanica di particelle attraverso un mezzo. Il flusso di ultrasuoni può essere somministrato senza interruzioni (modalità continuo) o con intervalli periodici (modalità pulsato). Gli ultrasuoni sono una terapia fisica che genera un riscaldamento tissutale profondo, grazie alla loro capacità di trasmissione attraverso tessuti omogenei, come il tessuto lipidico (“attraverso lo strato di grasso”). Tradizionalmente vengono usati per il loro effetto termico, ma è stato anche osservato come siano in grado di interagire con i processi biologici durante diverse fasi della riparazione tissutale dopo una lesione: alcuni studi mostrano come siano in grado di stimolare l’attività di cellule infiammatorie, come i macrofagi, di promuovere il rilascio di mediatori chimici dell’infiammazione che incrementano l’attività dei fibroblasti nel sito di lesione, di stimolare la produzione di collagene favorendo l’organizzazione del tessuto cicatriziale.
Laser – energia luminosa
Il Light Amplification for the Stimulated Emission of Radiation (LASER), ovvero l’amplificazione della luce mediante emissione stimolata della radiazione, si basa sull’utilizzo di energia elettromagnetica generata dal movimento di fotoni attraverso lo spazio. I laser a bassa potenza producono pochissimo calore, ma sembrano avere effetti significativi sul processo di riparazione dei tessuti molli e sulla modulazione del dolore. La luce, alla lunghezza d’onda tipicamente utilizzata nella laser-terapia, è assorbita dagli enzimi, dall’emoglobina, dai fibroblasti e dal tessuto nervoso. E’ stato osservato come il laser sia in grado di stimolare potenti mediatori dell’infiammazione come i fattori di crescita, di attivare i processi fagocitici e di incrementare la deposizione di collagene (determinando un aumento della resistenza del tessuto alle forze tensive). Alcuni studi mostrano anche una riduzione dell’essudato infiammatorio (riduzione del “gonfiore” associato ad infiammazione) in seguito alla somministrazione di laser. Bassi dosaggi hanno infine dimostrato indurre una riduzione significativa della velocità di conduzione nervosa, che si traduce in una diminuzione del dolore locale.
Onde d’urto – energia meccanica
Queste onde sono prodotte da dei generatori o litotritori ed hanno una forma specifica, di rapida crescita e breve lunghezza (durata circa di 10 ms). Sono caratterizzata da un’alta pressione di picco positiva, seguita da una fase di pressione negativa. La fase positiva produce delle forze meccaniche direttamente sul tessuto, mentre la fase negativa genera un fenomeno detto cavitazione, ovvero si generano delle bolle di gas che susseguentemente implodono ad alta velocità generando una seconda onda d’urto. A differenza degli ultrasuoni, il picco di pressione generato è di circa 1000 volte maggiore.
L’onda diretta e la cavitazione indiretta causano la formazione di ematomi e morte cellulare in un determinato punto, eventi che stimolano una nuova infiammazione con conseguente produzione di nuovo tessuto. Possiamo dire che le onde d’urto quindi mirano a far “partire” un nuovo processo di guarigione, che dev’essere poi gestito adeguatamente.
Per quanto riguarda le patologie muscoloscheletriche, le onde d’urto sono spesso utilizzate – nella forma di somministrazione radiale o focale – nei seguenti quadri patologici:
– tendinopatie a livello degli arti inferiori e superiori;
– sindrome dolorosa del gran trocantere;
– “medial tibial stress syndrome” (o periostite tibiale);
– fasciopatia plantare (conosciuta anche come “fascite plantare”);
– capsulite adesiva (conosciuta anche come “spalla congelata”);
– necrosi avascolare della testa del femore;
– artrosi del ginocchio.
Magnetoterapia – esposizione a campi magnetici
Questa terapia, di facile somministrazione grazie agli apparecchi di ultima generazione che ne consentono l’auto-somministrazione da parte del Paziente a casa, attualmente viene utilizzata nella cura di numerose patologie quali: fratture ossee, osteoporosi, dolore articolare, artrosi, malattie reumatiche, lesioni dei tessuti molli, etc. I campi magnetici generati possono essere di due tipologie: a bassa frequenza, tra i 5 e i 100Hz, o ad alta frequenza, tra i 18 e i 900Hz. E’ necessario infine ricordare che spesso, in ambito clinico, l’utilizzo della magnetoterapia nel trattamento delle patologie muscoloscheletriche non è supportato da solide prove d’efficacia.
Puoi trovare maggiori informazioni, circa l’indicazione delle terapie fisiche o delle altre terapie nel quadro patologico di tuo interesse, nella scheda della specifica patologia.
Contenuti a cura del dott. Palo Meli;
revisione testi a cura del dott. Mario De Marco;
grafica e immagini a cura di Emanuele Santi.
Patologie